martedì 26 gennaio 2010

Linux svilluppato soprattutto da professionisti: una buona (vecchia) notizia




Nei giorni scorsi m'ero imbattuto sulla notizia, poi ripresa dal buon Lorenzo sul suo blog, e da Punto Informatico, che il 75% delle modifiche sul kernel Linux sono fatte da gente stipendiata, assunta e pagata per contribuire allo sviluppo.
Con buona pace di chi ha un'immagine romantica (?) dello sviluppo di Linux. Insomma, l'idea di valorosi volontari poco propensi alle relazioni umane che fanno le notti in bianco per sviluppare software libero è destinata all'oblio.

Però

C'è però da dire che in genere le aziende hanno cominciato a contribuire a Linux solo quando hanno visto la possibilità di un ritorno economico.
C'è da ricordare infatti che all'inizio il contributo era esclusivamente di volontari, che neanche si potevano definire "comunità".
Molto prosaicamente, nessuna azienda "crede" nel SW libero, ma solo casomai nella moneta sonante.

La notizia è vecchia

In più, la notizia che il grosso dello sviluppo del kernel Linux provenga da prezzolati aziendali è vecchia. Già nel 2008, il 70% delle modifiche arrivava da sviluppatori pagati dalle grosse aziende informatiche (vedi link all'articolo su PI del 2008).
Semmai quindi, si vede una notevole crescita dei contributi aziendali al kernel di Linux, passati dal 70% al 75% in poco meno di 2 anni.

Ma è una buona notizia


Le aziende, come ho scritto, sono arrivate molto tempo dopo l'inizio della storia. Ma è una buona notizia.
Facciamo un passo indietro.
C'è una cosa che lascia perplesse le persone che hanno il primo contatto con Linux e il software libero: chi paga? Queste persone sono abituate all'idea del "software in scatola", venduto al negozio come i cereali. Nella realtà, la maggior parte dello sviluppo di software, soprattutto quello aziendale, viaggia su canali diversi dal supermercato. Inoltre, anche i soldi che girano attorno all'industria del software non sono quelli del software in scatola, ma quelli dei servizi alla clientela. Servizi come per esempio: personalizzazioni di software esistente, assistenza post-vendita, mantenimento del servizio.
Il fatto che così tante aziende investano così tanto (ma ancora poco!) su Linux, dimostra che tutte queste aziende hanno un ritorno (diretto o indiretto) sui propri affari.
In più, il codice sviluppato per Linux è di tipo professionale, fatto da persone che fanno solo quello e sono pagate per farlo.
Si è quindi innestato quel circolo virtuoso, quel miglioramento continuo, che tutti i sostenitori del software libero si augurano da tempo, per cui i contributi a Linux e i benefici che ne derivano si possono vedere giorno per giorno.

Linux paga anche i volontari

Mi sono poi imbattuto casualmente sulla pagina delle donazioni di Linux Mint. Da questa risulta che nel 2009 sono stati raccolti, tra donazioni e sponsor, più di 30.000 dollari. E manca il dato di Dicembre 2009. (notizia nella notizia: l'Italia è nella top 10 delle nazioni che contribuiscono, pensavo gli italiani fossero molto più taccagni! :-)

Lo so, trentamila dollari (poco più di ventimila euro) sembrano pochi, ma è una cifra notevole per una distribuzione che si basa esclusivamente sul contributo di volontari. Una dimostrazione che Linux paga anche chi lo fa per hobby.

La paga più remunerativa

C'è infine una paga che non si può conteggiare con il biglietto verde, ed è la soddisfazione di vedere un prodotto crescere giorno per giorno. Non si può compensare con il vile denaro un'attività che migliora se stessi e il mondo circostante.


Link:

Articolo su Punto Informatico del 2010
Articolo su Punto Informatico del 2008
Post di Lorenzo Sfarra sull'argomento
Pagina delle donazioni di Linux Mint

domenica 24 gennaio 2010

Haiti, Italia

Le placche

Il modello della "tettonica delle placche" immagina la crosta terrestre della Terra come delle zattere immense, le "placche" appunto. Queste enormi zattere, vanno al di là del nostro immaginario e non corrispondono ai continenti così come ce li figuriamo. Le placche si muovono (lentamente ma) in continuazione, come scivolassero sul burro, e i loro movimenti si possono vedere nel corso delle centinaia o migliaia di anni. Le zone di confine delle placche si chiamano faglie. Lunghe le faglie, la crosta terrestre subisce delle deformazioni notevoli, e delle manifestazioni importanti come i vulcani.
La più spettacolare è però la catena montuosa dell'Himalaya, dove si trovano le montagne più alte del mondo, determinata dalla collisione della placca indiana con la placca euroasiatica. Un po' come se un enorme piede spingesse un enorme tappeto. Le pieghe del tappeto sono l'Himalaya.

Haiti

Haiti ha la sfortuna di trovarsi sulla faglia  "Enriquillo-Plantain Garden" e un'altra conseguenza dello scontro delle placche sono (purtroppo) i terremoti, come abbiamo avuto modo di vedere nei recenti fatti tragici di qualche giorno fa.

Italia

Un'altra faglia si trova in Sicilia, nella zona di scontro tra la faglia africana e quella euroasiatica. Già nel 1908 a Messina ci fu uno dei più catastrofici terremoti che l'Italia ricordi, che causò quasi 100.000 morti.
Se si guarda alla classificazione delle zone sismiche della Protezione Civile (vedi sotto), la zona è una di quelle più a rischio terremoti. Insieme a quelle del Friuli (terremoto nel 1976), Irpinia (1980) e Abruzzo (2009).



Classificazione delle zone sismiche in Italia

La comune e tragica esperienza di Italia e Haiti sui terremoti dovrebbe insegnare a chi decide il futuro del Paese. Purtroppo non è così.

Il ponte

Sullo stretto di Messina ci si vuole costruire il ponte a campata unica più lungo del mondo. Nel progetto ci si è "dimenticati" di fare uno "studio preliminare" (vedi intervista al prof. Mario Tozzi).


Link:

Tettonica delle placche su Wikipedia
Terremoto 2010 a Haiti su Wikipedia
Faglia di Enriquillo-Plantain Garden su Wikipedia (inglese)
Terremoto 1908 a Messina su Wikipedia
Classificazione delle zone sismiche sul sito della Protezione Civile
Rischio sismico sullo stretto da Meteoweb.it
Intervista a Mario Tozzi sul ponte sullo stretto

giovedì 21 gennaio 2010

Energia nucleare: invisibile pericolo che incombe sull'Italia



L'energia nucleare non si vede, quindi non esiste.

Questo è quello che deve pensare la maggior parte degli italiani. Tanta è infatti l'indifferenza con cui sta passando lentamente e sotto silenzio il ritorno all'energia nucleare in Italia. Gli italiani, massimi esperti mondiali di estetica, sono dei pivelli per tutto quello che non si vede. Anche perché sono bravissimi a guardare dall'altra parte.

Il primo pericolo: la politica che avanza

Tra l'indifferenza (e l'ignoranza) il Governo italiano continua a fare tutti i piccoli passi legislativi necessari per il ritorno alle centrali termoelettriche alimentate a uranio.
Fra poco ci saranno le elezioni regionali. Dopo saranno resi noti i siti in cui si potranno costruire le centrali nucleari. I siti sono già stati scelti da tempo. Su Internet ne circolano alcuni (vedi articolo di Repubblica.it), che il Governo ha smentito categoricamente. In altre parole: i siti sono quelli, ma non li diciamo sennò perderemo voti alle prossime elezioni.

Il secondo pericolo: i tempi lunghi

Una volta scelti i siti si passerà alla fase di progettazione e realizzazione delle centrali nucleari. In altre parole: 15-20 anni di lavoro. Se va tutto bene! Nel frattempo, il petrolio salirà alle stelle e l'Italia avrà "perso il treno" delle energie rinnovabili: se non si investe adesso nella ricerca e sviluppo in questo campo, sarà troppo tardi.

Il terzo pericolo: l'approvvigionamento di uranio

Dalla padella alla brace: si vuole svincolarsi energicamente da risorse destinate a esaurirsi, come gas e petrolio, e se ne utilizza un'altra, l'uranio, che in Italia non c'è. Dovremo quindi andare a comprarlo sul mercato, al prezzo variabile di mercato. Senza dimenticare che anche l'uranio prima (40 anni) o poi (100 anni al massimo) finirà. Temo non sia una grande idea per chi spaccia il ritorno al nucleare come un passaggio dalla dipendenza all'autarchia energetica.

Il quarto pericolo:i fumi radioattivi



Una volta entrate in funzione le centrali emettono fumi radioattivi. Per carità, le emissioni sono blande. E le centrali nucleari non emettono CO2.
Incidentalmente quindi si rispetterà il "Trattato di Tokio", al prezzo di un blando inquinamento radioattivo. Chissà perché la prospettiva non mi entusiasma.

Il quinto pericolo: le scorie nucleari


Funzionando, le centrali nucleari producono anche scorie nucleari, radioattive per qualche migliaio di anni. Le scorie prodotte dalle vecchi centrali nucleari italiane sono ancora lì, nelle vecchie centrali in smantellamento, dove sono state prodotte. Non si è ancora trovato un posto dove metterle. Nessuno se ne vuole prendere carico. A tutti gli effetti, non esiste un sito al mondo dove buttarle. L'Italia dovrà quindi accumulare altre scorie nucleari, con tutti i pericoli che ne conseguono, soprattutto per le popolazioni locali.

L'unico pericolo visibile

L'unico pericolo davvero visibile lo vedranno i fortunati che si ritroveranno la centrale nucleare nel giardino dietro casa. Si sveglieranno quindi dal torpore italico, e guardando i loro bambini si domanderanno se davvero il nucleare fosse una buona idea. Ma sarà troppo tardi.


Link:

Articolo di Repubblica.it sui siti italiani
Mio post "Lo sapevate che?" sull'energia nucleare
Mio post sulle scorie nucleari
Mio post "Risposte nucleari"

martedì 19 gennaio 2010

Salviamo MySql: firmiamo la petizione!



Quasi un anno fa avevo scritto un post sulla notizia dell'acquisizione di Sun da parte di Oracle. La notizia fece scalpore perché Sun aveva a sua volta comprato MySql, il database open source più diffuso al mondo, la "M" della famosa architettura "LAMP". Oracle si trovava così in casa ben due database, il suo e il "figlio acquisito" MySql.

Al tempo ero abbastanza dubbioso sulle intenzioni di Oracle nei confronti di MySql. Oracle appunto ha già un suo database, il più diffuso database commerciale al mondo. Difficile fare coesistere 2 numeri 1, gli interessi in campo sono enormi.
Interessi che potrebbero sembrare complementari ma sono in realtà contrapposti. Da una parte un database open source (MySql), piccolo e leggero, adatto a una clientela che non ha grosse pretese. Dall'altra un database proprietario (Oracle), grosso e pesante, adatto a clientela che pretende il meglio (ed è disposta a pagarlo).
Queste due fette di mercato potrebbero sembrare molto diverse da loro, e lo sono. Non solo: difficilmente uno dei clienti tipo delle due tipologie si sposterebbe da un database all'altro. Chi usa MySql probabilmente non è disposto a pagare il prezzo del database proprietario. Chi usa Oracle DBMS vede MySql come un "database serie B", e non rinuncerebbe alla sicurezza che gli garantisce il suo "database si serie A".

Il problema però sta tutto in Oracle, che dovrebbe finanziare lo sviluppo di MySql: è disposta a spendere un sacco di soldi (si, l'open source costa!) per finanziare un progetto da cui non ha ritorno economico diretto?

Nel dubbio, è stata aperta una petizione online con lo scopo di "Assicurare le future innovazioni collegate a MySQL e proteggere MySQL nel suo ruolo di importante forza competitiva".

Si chiede a chi firma di scegliere una o più delle seguenti opzioni:
  • "MySQL deve essere dismessa verso adatte terze parti che continueranno a svilupparlo sotto GPL.
  • Oracle deve impegnarsi per una "linking exception" per applicazioni che usano MySQL con le librerie client (per tutti i linguaggi di programmazione), per plugin e libmysqld. MySQL stesso deve rimanere sotto licenza GPL.
  • Oracle deve rilasciare tutte le passate e future versioni di MySQL (fino al Dicembre 2012) sotto Apache Software License 2.0 ( o similare ) in modo tale che gli sviluppatori di applicazioni e di versioni derivate possano avere una flessibilità riguardo al codice."
Anche se l'efficacia delle petizioni online è tutta da dimostrare, tanto vale provarci! Andate subito a firmare!

Link:

Petizione online per salvare MySql
Intervista a "papà" Widenius su PI
Mio post sull'acquisizione di Sun da parte di Oracle
Mio post sulle (false?) buone intenzioni di Oracle
Voce LAMP da Wikipedia

lunedì 18 gennaio 2010

Ubunchu! Siamo al IV episodio (in inglese)




Come annunciato sul sito di Martin "DoctorMo" Owens, è uscito il quarto episodio di Ubunchu! il manga ambientato nel mondo ubuntero.
Ubunchu! è un fumetto giapponese creato da Hiroshi Seo (aka Seotch), che narra delle vicissitudini di un computer club scolastico alle prese con il nostro amato sistema operativo.
L'argomento di questo numero sono le licenze libere, partendo dalla storia di 3 coniglietti (uno dei quali dalle corna sospette :-) e sulle possibili licenze con di pubblicarla.

La storia è in inglese, in attesa di leggerla in italiano...



Link:

Ubunchu #4 (in inglese)
Mio post su Ubunchu #3
Mio post su Ubunchu #2
Mio post su Ubunchu #1

domenica 17 gennaio 2010

Walter Moers: Le tredici vite e mezzo del capitano Orso Blu

More about Le tredici vite e mezzo del Capitano Orso Blu
Un fantasy per chi non ama i fantasy

Se nani, streghe, orchi e hobbit vi sono venuti a noia, ma anche se non avete mai letto un fantasy in vita vostra, dovete leggere questo libro. Walter Moers s’è inventato un mondo completamente a parte, Zamonia, e personaggi assolutamente originali, nessuno di essi umano, ma tutti molto umani nei loro molti vizi e poche virtù. Uno su tutti, il simpatico e assolutamente inaffidabile gaglioffo delle spelonche.
Il libro narra le vicende di metà della vita di Orso Blu (tutti sanno che gli orsi blu vivono 27 vite!?!?!), promosso sul campo (anzi sul mare) capitano, dagli eventi più che per meriti propri. La trama non è molta, ma non è neanche molto importante: il divertimento è garantito dalla prima all’ultima delle 700 pagine. Le ultime vite, gli ultimi capitoli, del libro sono poi davvero spassose.
Il libro è scritto in modo scorrevole, si legge in un baleno. Se proprio devo trovare un difetto al libro, è quando lo scrittore parte in lunghi elenchi, che alla lunga stancano.



Link:

La mia libreria su aNobii.com

sabato 16 gennaio 2010

Pirateria: uno non fa in tempo

Uno non fa in tempo a fare una cosa seria, che viene superato sulla corsia di destra da uno che sullo stesso argomento fa una "grande cavolata".

Ieri sera ho pubblicato un post con qualche pensiero sulla "pirateria" delle opere multimediali. Ci ho messo una settimana per scrivere qualcosa di intelligente e serio. Ero soddisfatto del mio compitino, come uno scolaretto di prima elementare.
Mentre lo stavo pubblicando, mi arriva la notizia che il Governo ha varato un decreto legge che tassa tutti gli apparati multimediali dotati di memoria, dalla chiavetta USB in su: al telefonino, al decoder digitale terrestre (che tutti sono obbligati a comprare!), al lettore DVD con Hard Disk e ovviamente al computer.

Una legge sulle intenzioni

La legge è "sull'equo compenso", il compenso per artisti ed editori, che sono privati di soldi loro spettanti per le copie private dei CD e DVD regolarmente comprati.
In pratica, un finanziamento alla SIAE.
La cosa che fa arrabbiare, è che si parte dalla presunzione di colpevolezza di chi acquista: sicuramente lo userà per copiare opere protette da diritto d'autore. Presunzione falsa, visto che la memoria si può usare anche per registrare il filmino delle ferie. Su cui la SIAE non gode di nessun diritto. Su cui solo i parenti potrebbero aver qualcosa da dire (specie alla fine delle 4 ore di proiezione).

C'è poi un secondo aspetto: questa legge non scoraggerà la "pirateria casalinga". Chi fa copie di CD e DVD per gli amici, continuerà a farlo. Anzi. Travisando la legge, si sentirà ancora più giustificato del suo comportamento, pensando di aver già pagato "alla fonte" quanto dovuto in materia di diritto d'autore.

Chi può, aggirerà la tassa, andando a San Marino, Austria, Svizzera o est Europa per acquisti tecnologici.

Infine, c'è da considerare l'aspetto che il mercato della tecnologia sarà penalizzato, perché i venditori scaricheranno i costi della tassa sui consumatori, con conseguente aumento dei prezzi. Mi domando come questo possa favorire una ripresa dei consumi.

Link:

Articolo su Repubblica.it sulla nuova tassa
Mio post sulla pirateria

Qualche banale pensiero sulla "pirateria"


Un’eco dal passato


“[Musica] Leggera. Sembra che vada bene tutto, dal rock al punk, allo ska, alla disco-music. In verità, dicono i discografici, non va bene niente e mostrano cifre dalle quali si rileva un certo calo delle vendite. Non è il caso di parlare di crisi – affermano – però adesso bisogna stare attenti a sbagliare di meno. Si comprano effettivamente meno dischi, ma non tanti in meno come si potrebbe pensare: il fatto è che ci sono in circolazione migliaia e migliaia di dischi “pirati” con un “fatturato” che sembra sia superiore al 50 per cento di quello dei dischi prodotti legalmente.” (Grande Enciclopedia Universale Curcio – annuario 1982)

Sull’argomento “pirateria” delle opere d’autore sono stati consumati ettolitri di inchiostro in articoli e Internet poi pullula di migliaia di post. Con questo mio post non aggiungo un granché, ma partendo dal passato vorrei proporre qualche banale riflessione sul presente.

Di cosa stiamo parlando

Si potrebbe suddividere la “pirateria” delle opere d’autore, film e dischi, in due categorie:
  • la copia di un’opera da parte da parte di amici, per un altri amici, senza scambio di denaro
  • la copia di un’opera da parte da parte di un’azienda, un’associazione, o singoli, che lo fanno per ricavarne denaro
Primo pensiero banale: la pirateria non è nata con Internet

Il primo tipo di copia è sempre esistita: nei tempi antichi – 30 anni fa, prima del CD - non c’erano i mezzi per copiare i vinili 33 giri, ma li si passava su cassetta audio. Si perdeva un po’ di qualità, ma il risultato era decente per l’ascolto. Di questo tipo di pirateria si occupavano (si occupano) i “pirati casalinghi”.

Il secondo tipo di copia è “quasi” (?) sempre esistita, ne è la prova anche il brano che ho citato qui sopra, che risale a quasi 30 anni fa. Di questo tipo di copia si occupavano (si occupano) i pirati industriali, che avevano (hanno) mezzi ben superiori alla normale utenza domestica.

Quindi, Internet non ha inventato la pirateria, anche se ne ha favorito la diffusione.

Secondo pensiero banale: la pirateria non morirà con Internet

Se domani si varasse in Italia la più severa legge mondiale a tutela del copyright (ipotesi neanche tanto lontana dalla realtà), e la polizia postale facesse i controlli più rigorosi, tanto da azzerare la condivisione delle opere multimediali su Internet, la pirateria sopravviverebbe comunque.

La pirateria casalinga sarebbe fortemente “penalizzata”, in quanto non avrebbe più lo strumento principe di diffusione, ma si continuerebbero a fare copie di dischi e film per gli amici.

La pirateria industriale continuerebbe a esistere, in quanto usa (anche) canali differenti da Internet per distribuire le proprie malefatte. Come li ha sempre usati.

Un passo indietro: il salto (in basso) tecnologico


Faccio un passo indietro per poi arrivare a un altro pensiero banale. La differenza tra il tempo antico (prima di Internet) e adesso è tutta nella tecnologia.

Un tempo, produrre una copia pirata di un disco bisognava:
  • avere il materiale giusto (il vinile)
  • avere i mezzi tecnologici per incidere il materiale giusto e imbustarlo in degni contenitori
  • avere la rete di distribuzione adeguata per distribuire quanto prodotto
Adesso, per produrre una copia pirata basta:
  • avere il materiale giusto: CD o DVD, a pochi centesimi di euro in qualsiasi supermercato
  • avere i mezzi tecnologici per incidere il materiale giusto e imbustarlo in degni contenitori: masterizzatore e stampante a colori, a pochi euro in qualsiasi supermercato
  • avere la rete di distribuzione adeguata per distribuire quanto prodotto: Internet con ADSL, in (quasi) qualsiasi casa
La tecnologia, un tempo accessibile solo a pochi, dotati di notevoli mezzi anche economici (i pirati industriali), è diventata popolare, alla portata di tutti. Paradossalmente, la tecnologia ha fatto un bel balzo in avanti e anche un salto in basso, tanto che adesso chiunque può copiare opere multimediali a modico prezzo.

Altro pensiero banale: i “pirati industriali” hanno perso mercato


A questi prezzi, i primi a perdere mercato sono stati i pirati industriali, che hanno dovuto subire – loro per primi – la forte concorrenza della pirateria casalinga: nessuno gli compra le copie pirata quando se le può fare in casa, o avere da qualsiasi amico.

Paradossalmente quindi: con la diffusione di Internet, la pirateria industriale ha perso mercato. Se invece Internet venisse fortemente censurata, i primi a guadagnarne sarebbero proprio i pirati industriali.

Da tutti questi pensieri, mi restano un paio di dubbi. I "Paladini del Diritto d’Autore" stanno combattendo la battaglia giusta? Alla fine della loro “Giusta Lotta”, chi saranno i vincitori e chi i perdenti?

venerdì 15 gennaio 2010

Vacanze fuori stagione: Malindi? MAH!

Giornata grigia,
umidità nell'aria
e anche nelle ossa,
temperatura che non supera mai i 10 gradi...
proprio brutto e triste l'inverno padano.
Arrivo in ufficio e trovo sulla intranet un'irripetibile offerta di viaggio.
Non sarebbe male una vacanza fuori stagione...

 

Ah, il sole caldo dell'Africa, già me lo sento sulla pelle.
Mai andato e già ammalato di "mal d'Africa".



Mah! 
Non mi sembra proprio gratis...
Uno pensa alla vacanza fuori stagione come un modo per far le ferie e pagare poco...
E poi qui 9 giorni e 7 notti.
Mai una volta che vedo 9 giorni e 9 notti!



Mah!
Davvero è "altissima stagione"!??!
Già mi viene qualche dubbio...
è davvero "un'offerta irripetibile"??



Perché queste scritte in grigio semi trasparente?
Le altre erano in un bel arancione calco e vivace!
Il taccagno maledetto che è in me si mette a fare i conti a mente...
(mai stato bravo in matematica, ma se si tratta di soldi...)

1.150+
   46+
   16+
   70+
   18=
------
1.300 €

Malindi...


Mah!

venerdì 8 gennaio 2010

Un brutto colpo: Linus mi ha fregato!

In un mio post precedente, avevo biasimato Linus Torvalds, il numero 1 di Linux, per un comportamento a dir poco riprovevole. Una di quelle cose per cui si vorrebbe mollare tutto e mandare in vacca l'open source e compagnia bella. Altro che Microsoft! Altro che Steve "linux-è-un-cancro" Ballmer!
Cosa aveva fatto di così malvagio? Beh, s'era mostrato in giro indossando (oltre alla solita polo che indossa da almeno 20 anni) dei sandali con calzini bianchi!!! Immaginavo già la prossima campagna di Apple "I'm a Mac": il ragazzino figo della Mela Morsicata in jeans e maglietta che guarda con occhio ironico un personaggio nordico con pancetta e sandalo con calzino bianco. Un'umiliazione!

Linus aveva però già giocato d'anticipo

Giovanni mi segnala che in un post di Giugno 2009 sul suo blog, dal titolo "Outwitting the fashion police" ("Raggirare astutamente la polizia modaiola" trad. by Dario), raccontava di come era riuscito a trovare il giusto compromesso tra la comodità di un sandalo e la decenza di un paio di scarpe. Scrive:


"For a year now, I've been avoiding the fashion police by instead of "sandals" wearing "shoes with holes in their sides". I've got these Keen's that look enough like shoes that nobody ever bats an eye at you wearing them with socks (Ok, by "nobody", I mean my wife, but that's all that matters, right?)."


"Da anni evito la polizia modaiola indossando delle "scarpe con buchi ai lati" invece di "sandali". Ho queste Keen's che somigliano alle scarpe tanto quanto basta, cosicché nessuno batte un ciglio quando le indosso con i calzini (Ok, dicendo "nessuno", intendo mia moglie, ma questo è tutto quello che conta, vero?)." (trad. by Dario)

OK, non sono la moglie di Linus, e neanche un parente. Ma mi domando quanti clienti avrebbe Steve Jobs se fosse lui a indossare quelle scarpe quando presenta un iPod nuovo.

Per fortuna, esiste un dio del software libero: quel modello di "scarpe con buchi ai lati" non è più in commercio! Purtroppo, persone di cattivo gusto gli hanno suggerito qualche alternativa. Sicuramente lavorano per la concorrenza.

Ma possibile che non ci sia uno stilista italiano che insegni un po' di buon gusto a quell'uomo?

Sono sicuro che queste notizie sono fondamentali per il futuro del software libero, e suscitano profondo interesse nelle persone che lo seguono. Prometto quindi che Vi terrò aggiornati sulle evoluzioni di questa storia.


Link:

Mio post "Un brutto colpo"
Post di Linus sul suo blog sui suoi sandali

lunedì 4 gennaio 2010

Come fare della Pessima informazione.

Oggi mi è capitata fra le mani la prima pagina di uno dei quotidiani italiani. La prima pagina risale a qualche giorno fa, ma adesso che è tornato il freddo in Italia, è di nuovo attualità.
Per evitare di fargli pubblicità, chiamerò questo quotidiano "il giornalaccio", come amorevolmente lo definisco in privato.
Per divertimento nel week-end ho fatto copia-incolla e ne ho ricavato questa divertente immagine.


22 dicembre 2009

Sempre per evitare di far loro pubblicità gratis, ho mascherato la testata e il nome del giornalista.
La cosa divertente è che lo stesso giornale aveva fatto un'apertura simile circa un anno fa. Dopo qualche ricerca l'ho trovata. Anche qui un po' di taglio, cucito e mascheramento.


8 gennaio 2009

Beh, il giornalaccio spara in prima pagina due bei titoli che fanno molto scalpore, e che, secondo le intenzioni di chi li ha scritti, dovrebbero smentire le catastrofiche previsioni che dicono che il pianeta si stia riscaldando per causa dell'uomo, e che l'umanità vada incontro all'autodistruzione.

Invito chi vuole farsi un'opinione sul riscaldamento terrestre a documentarsi, ci sono moltissimi libri sull'argomento (a chi me lo chiede gliene consiglio alcuni in privato), e si trova molto materiale anche su Internet, vedi per esempio il link a Wikipedia. 

Il motivo di questo post è un altro: la Pessima informazione, con la "P" di maiuscola, fornita dal giornalaccio. Pessima perché:
  • si basa sull'emotività del momento (provate a trovare un dato scientifico nell'articolo), un po' come scambiare uno tsunami per una marea;
  • non dà spazio alla replica, necessaria per dare un'informazione seria ed equilibrata;
  • infarcisce l'articolo di ironia beffarda (o irritante, se non la si pensa come il giornalista), per completare l'opera manca solo la battuta "mia nonna che ha 97 anni dice che una volta faceva più freddo".
Tutti questi fattori, inducono il lettore a farsi l'opinione (magari sbagliata) che il giornalista parteggi per una delle parti, compromettendo la credibilità di sè stesso e del quotidiano.
La lezione di italiano di più di vent'anni fa, quando la Prof. invitava a leggere più quotidiani, per prima di farsi un'opinione personale, è quantomai di necessaria attualità.


Per chi proprio non ce la fa a resistere alla curiosità, qui sotto trova i link agli stessi articoli sulla versione online del quotidiano.


Link:

Primo (pessimo) articolo
Secondo (pessimo articolo)
Riscaldamento globale (su Wikipedia)

sabato 2 gennaio 2010

Ubuntu: cosa succederà nel 2010




Il 2010 sarà un anno fantastico per Ubuntu. Molti e ambiziosi sono gli obiettivi che attendono la Comunità per la prima parte di quest’anno.

La nuova LTS

Ubuntu 10.04 “Lucid Lynx” che sarà rilasciata a fine Aprile 2010 sarà una nuova LTS di Ubuntu, la versione a Lungo Termine di Supporto, con 3 anni garantiti (5 anni, nella versione per server) di correzioni e aggiornamenti.
Questa nuova versione conferma la cadenza delle LTS, rilasciate ogni 2 anni, l’ultima infatti è stata Ubuntu 8.04 “Hardy Heron”. Questo permette di effettuare il passaggio da una versione LTS all’altra con la dovuta tranquillità, programmando l’evento per tempo. Il poter programmare gli interventi per tempo, è importante soprattutto per le aziende, che possono così pianificare meglio il loro lavoro presente e futuro.
Le scelte fatte per Ubuntu 10.04 saranno improntate a stabilità e sicurezza. Questi due fattori influiranno sicuramente sulla scelta del software da includere, che sarà sicuramente il più collaudato ed esente da bug.

Anche Kubuntu avrà la sua LTS

Kubuntu 8.04 aveva mancato all’appuntamento LTS, e infatti quella versione non lo era.
Ricordiamo che ad aprile 2008, data di rilascio di Kubuntu 8.04, era appena stata rilasciato KDE4, e il team di sviluppo Kubuntu si trovò nella difficile posizione di dover scegliere tra KDE3 e KDE4. Alla fine scelse entrambe, uscendo con una doppia versione, per accontentare chi voleva stabilità e sicurezza (Kubuntu 8.04 con KDE3) e chi voleva novità e glamour (Kubuntu 8.04 con KDE4). Quella scelta si rivelò un fallimento, come ha anche ammesso Jonhatan Riddell, leader del team di sviluppo Kubuntu.
Per Kubuntu 10.04 non si vogliono ripetere gli errori del passato, forti anche di KDE4, che è arrivata finalmente alla stabilità che serve.
Kubuntu 10.04 sarà quindi una LTS, garantendo lo stesso supporto e sicurezza della sorella maggiore. Un impegno notevole da parte del team di sviluppo di Kubuntu, che spera così di svincolarsi dal ruolo secondario avuto finora.
Il “Dominio del Mondo” è nei piani di Kubuntu, è tempo che Ubuntu debba preoccuparsene! :-)

Xubuntu

Dopo aver fatto nascere molti dubbi sulla sua effettiva legittimità ad esistere, Xubuntu con il rilascio 9.10 finalmente è tornata ad essere la versione leggera che si dichiara. (A proposito: la sto provando sul solito PC “bel-pezzo-di-modernariato”, prossimamente la recensione)
Per la versione 10.04, non sono riuscito a trovare gli obiettivi del team di sviluppo di Xubuntu.  Sul wiki di progetto, la voce “Nuovi obiettivi per Lucid” è ancora desolatamente vuota. Sono valorizzati solo gli obiettivi di sempre, tra cui “snellire (=rendere più leggera) la sessione Xubuntu”. Del resto a Xubuntu manca molto del supporto di documentazione disponibile per le altre distribuzioni di famiglia.
Comunque difficilmente Xubuntu 10.04 sarà LTS. Il team di sviluppo è troppo esiguo, e la limitatissima diffusione non giustifica lo sforzo necessario sia per rilasciare una LTS, sia per supportarla negli anni a seguire.
Senza altre informazioni, c’è quindi da augurarsi che Xubuntu continui sulla strada intrapresa (ritrovata) per Xubuntu 9.10.

Lubuntu

Ad Aprile 2010 nascerà anche l’ultima versione di Ubuntu, quella basata su LXDE.
C’è molta attesa per questa versione. Sia perché LXDE è l’astro nascente dei desktop manager. Tanto è vero che la versione LXDE di Fedora, la “Fedora LXDE Spin”, è subito balzata fra le versioni più scaricate del progetto. Sia perché una parte dei fan di Xubuntu (prima della versione 9.10) era rimasta molto delusa dalle prestazioni della propria distribuzione e aveva cominciato a guardare altrove.
Dalla veloce prova che ho fatto (vedi sotto il link), quanto fatto finora promette bene: una distribuzione leggera, sobria e solida, senza nessuna concessione agli effetti speciali. Insomma, quello che serve.

E gli altri?

Tutte queste novità solo nel mondo ubuntero. Non conosco così bene le altre distribuzioni da poter svelare i loro piani per il 2010. Di sicuro sanno già da tempo cosa accadrà nel mondo Ubuntu.
Sono quindi convinto che Fedora, Mandriva, OpenSuse non se ne staranno con le mani in mano.

2010 l’anno del pinguino? No!

Da qualche anno, ogni anno a inizio anno sento sempre la stessa domanda: “Sarà quest’anno l’anno di Linux?”.
Mia risposta per il 2010: No.
E vi anticipo anche la risposta per il 2011: No.
E 2012: No
Il motivo è molto semplice: se guardiamo al passato, il trend di crescita di Linux è lento. Molto lento. Nel 2010 sicuramente proseguirà il suo trend positivo, ma continuerà ad essere lento. E così nel 2011 e nel 2012.

(Poi non lo so, perché è prevista la fine del mondo, quindi non mi sbilancio! :-)

Scherzi a parte: più che guardare a uno specifico anno alzerei lo sguardo su un orizzonte temporale medio-lungo, diciamo 10-15 anni, in cui l’uso di Linux crescerà costantemente. Per poi arrivare a stabilizzarsi ad una quota fisiologica di mercato, che non vi svelo per evitare di essere preso per pazzo.
Quello che ci attende nel futuro quindi non è un “L’anno di Linux”, ma “L’Era di Linux”.


Link:

Mia recensione di Lubuntu
Mio post sulla fine del mondo nel 2012
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