giovedì 9 agosto 2007
Il commercio equo sbarca nei supermercati: una nuova sfida.
Che il commercio equo e solidale fosse un fenomeno in ascesa lo dimostrano i numeri sempre crescenti del fatturato mondiale di questo settore. In Gran Bretagna, che è uno dei paesi leader nel settore, già da tempo i prodotti del commercio equo si trovano nei supermercati. Da qualche tempo sono cominciati ad apparire anche sugli scaffali dei supermercati italiani. Per prima la COOP, che per finalità sociali trova molto in comune con i principi del commercio equo. Poi è stata la volta di una nota catena lombarda, adesso li ho visti anche su una nota catena francese di supermercati (vedi foto). A parte la COOP che dedica ampio spazio al commercio equo, allargandone la vendita oltre ai prodotti alimentari anche a prodotti tessili e accessori, gli spazi riservati dagli altri al commercio equo sono davvero limitati, un metro di scaffale, solo i prodotti che vanno per la maggiore (tè, caffè, cioccolato, qualche tipo di biscotto). Anche dal punto di vista del fatturato dei supermercati, è probabile che l'apporto del commercio equo sia estremamente limitato. Ma non si tratta di questo, non solo di questo.
Questo momento per il commercio equo è epocale. Da un lato si tratta di ampliare sempre di più la vendita e la conoscenza di questi prodotti e del loro messaggio. Dall'altro, si stanno creando nuovi spazi per il commercio equo laddove prima questo ne era escluso per gli stessi motivi per cui esiste. Mi spiego meglio. Il commercio equo si prefigge l'obiettivo valorizzare e premiare il ruolo dei produttori, che al momento sono spesso sfruttati e lasciati nella miseria dai grandi marchi internazionali secondo il principio "meno guadagni tu, più guadagno io".
Non riuscendo a reprimere il fenomeno, qualche grosso produttore mondiale ha cominciato ad approfittarne, creando i propri marchi "fair trade" (=commercio equo). Per esempio, una nota marca di banane ha una propria "linea di banane" (ebbene si!) certificate fair trade. Già il fatto di avere solo una "linea di banane" fair trade, e non tutta la produzione mondiale, denota il maldestro tentativo di accaparrarsi una fetta di mercato, quello dei consumatori attenti ai valori etici di ciò che compra. Maldestro, perché questi consumatori sanno benissimo cosa fanno i principali produttori mondiali di banane. A tale riguardo, Vi consiglio di leggere un approfondimento davvero ben fatto. Questi comportamenti scorretti e vessatori per produttori e consumatori, allontanano senza possibilità di ripensamento chi fa dei valori etici un modo di vivere.
Le botteghe del mondo, principale vettore in Italia del commercio equo e solidale, quindi si trovano in questo momento al centro di spinte diverse che ne potrebbero lacerare la struttura e vanificare
gli sforzi: da una parte i produttori, che vogliono giustamente aumentare il fattura, dall'altro la concorrenza dei produttori mondiali, che in barba a diritti e doveri, stanno cercando di intorpidire le acque buttando sul mercato prodotti equivoci, e ancora la concorrenza delle catene di supermercati. Riusciranno a sopravvivere in mezzo a questo mare in tempesta?
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2 commenti:
spero che il commercio equo non arrivi alla grande distribuzione, che gli riserverebbe probabilmente 2 metri quadri di spazio, non avrebbe senso. Penso conti molto di più l'informazione, che le botteghe fanno, piuttosto che la vendita in se per se!
Mah, capisco la perplessità, ma è giusto relegare il commercio equo in un angolo, impedendogli di svilupparsi ulteriormente? Bisogna considerare che le botteghe sono un ottimo mezzo, ma con molti limiti.
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