giovedì 28 marzo 2013

Ubuntu Kylin e la (mini) storia di Linux Comunista



In questi giorni si parla della novità di Ubuntu Kylin, versione cinese di Ubuntu, nata dalla collaborazione tra il Governo Cinese e Canonical. Come si legge nel comunicato stampa sul sito di Canonical:
"In the 13.04 release, Chinese input methods and Chinese calendars are supported, there is a new weather indicator, and users can quickly search across the most popular Chinese music services from the Dash. Future releases will include integration with Baidu maps and leading shopping service Taobao, payment processing for Chinese banks, and real-time train and flight information. The Ubuntu Kylin team is cooperating with WPS, the most popular office suite in China, and is creating photo editing and system management tools which could be incorporated into other flavours of Ubuntu worldwide."
 "In Ubuntu 13.04, saranno supportati i calendari e i metodi di input cinesi, ci sarà un nuovo indicatore meteo, e gli utenti potranno cercare velocemente i servizi di musica cinesi più popolari direttamente dalla Dash. I futuri rilasci includeranno l'integrazione con le mappe Baidu [motore di ricerca cinese ndt], e il servizio di acquisti Taobao, servizi di pagamento per le banche cinesi, e informazioni su treni e voli in tempo reale. Il team di Ubuntu Kylin sta collaborando con WPS [clone cinese di Microsoft Office ndt], la suite per ufficio più popolare in Cina, e creando strumenti di gestione e per il fotoritocco che potrabbero essere inclusi nelle altre versioni di Ubuntu in tutto il mondo."
L'utilizzo di Ubuntu in Cina inciderà sicuramente in maniera positiva sul risparmio di costi di licenze software che la Cina paga all'occidente. Quasi quanto (sembra) la pirateria.

Auguro a Ubuntu Kylin tutto il bene possibile, probabilmente i tempi sono maturi perché si realizzi l'utopia di una "autarchia cinese" nel software, se di autarchia si può parlare, visto che è una derivata di Ubuntu, con alcuni software in più sviluppati apposta per il mercato cinese.

Comunque, la storia di Linux nei Paesi che praticano il Socialismo risale a molti anni fa, e ha vissuto alterne vicissitudini.

Molto, molto tempo fa, in una Cina lontana

Il logo di Red Flag Linux 
(fonte: wikipedia.org)

Ricordo che negli anni 2000, fece un certo rumore l'apparizione Red Flag Linux, distribuzione cinese basata su Red Hat Linux, che sembrava destinata a imporre Linux in tutto il continente cinese. La distribuzione era finanziata dal Governo cinese, e nei piani doveva sostituire Microsoft Windows da tutti i PC governativi. L'ultima versione avvistata è la RC (release candidate) della versione 7.0 nel 2009.

Red Flag Linux 7.0 RC1
(fonte: redflaglinux.com)

La scelta di utilizzare KDE 4.*, che ai tempi era ben lungi dall'odierna stabilità, deve aver dato la mazzata decisiva alle velleità di dominio popolare del software libero nei confronti del capitalismo occidentale del software proprietario. Anche se secondo Distrowatch è ancora attiva, Red Flag Linux è ferma nello sviluppo, e questo è (di solito) il sintomo migliore per decretarne la morte (presunta).

Venne poi la volta di Asianux, distribuzione per server nata dalla fusione di Red Flag Software (che produceva appunto Red Flag Linux) e della giapponese Miracle Linux.

Asianux 3.0, imbarazzante la somiglianza 
con il Sistema Operativo Capitalista
(fonte: wikipedia.org)

Apparsa nel 2004, anche Asianux si perse nelle nebbie del Software Libero: l'ultima versione rilasciata è la 4.0 del 2011, poi più niente. Lo stesso sito ufficiale di Asianux, pur ancora registrato da Miracle Linux, ed è da annoverare tra le 400 e più distribuzioni Linux passate a miglior vita.

Sviluppatori di tutto il Mondo, unitevi!

Anche nella Nazione del Socialismo Reale, si è tentato di imporre Linux come Sistema Operativo di Stato, contrapponendolo allo strapotere americano. Il muro di Berlino era già caduto da un pezzo, e nel 2007, il presidente russo Dmitry Medvedev pose nello sviluppo di software libero le basi della sicurezza delle informazioni russe: prima del 2010 la Russia doveva avere un suo sistema operativo libero. Il consorzio Armada, a cui partecipava la distribuzione russa ALT Linux, basata su un fork di Mandrake, vinse l'appalto, e nel 2008 già più di 2.000 scuole partecipavano al progetto e la utilizzavano.

Alt Linux 6.0
(fonte: distrowatch.com)

L'ultima versione disponibile di ALT Linux è la 6.0, rilasciata nel 2011, ma lo sviluppo è tutt'ora attivo, e indipendente dalle altre distribuzioni del panorama Linux.

"Hasta la victoria! (quasi) Siempre!"

Altro Paese socialista, altra distribuzione. Restando tra le nazioni legate da filo rosso del comunismo, la distribuzione cubana Linux Nova, sviluppata dall'Università di l'Avana, di cui avevo dato notizia qualche anno fa. Dopo aver rilasciato qualche versione basate su Gentoo e Sabayon, nel 2011 passò a Ubuntu con la versione 2.1.

Linux Nova 2011, notate l'interfaccia grafica Mate 
(fonte: distrowatch.com)

Anche in questo caso, la distribuzione è ormai storia, e se ne sono perse le tracce nel 2011, dopo aver rilasciato la beta di Linux Nova 2011.

Essi sono tra noi


Il fallimento delle distribuzioni Linux nei Paesi che professano e praticano il socialismo, dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che, nonostante quello che Steve Ballmer pensa e dice, Linux - e il Software Libero in genere - è lontano dall'essere il prodotto di comunisti.

Oppure dimostra che nei Paesi a economia capitalista si annidano i peggiori e più pericolosi comunisti di sempre: gli sviluppatori. Questi personaggi dal dubbio profilo morale, che si riuniscono in eteree comunità virtuali (da notare che comunità e comunismo si accomunano nella radice) dai contorni indefiniti, stanno stravolgendo dal basso il modello di profitto basato sulla libera impresa e la ricerca della felicità, con lo scopo neanche tanto nascosto del dominio mondiale.

Segue risata malefica del Cattivo, la caratteristica: BUUUHAHAHAHAHAHA! mentre le luci si spengono virando al rosso. 
Sipario.

lunedì 18 marzo 2013

Google chiude Reader, ovvero "Standing on the hands of a Giant"

La prematura dipartita di Google Reader, il servizio di "Feed RSS" di BigG, ha lasciato molti dei suoi utenti sgomenti. Dal 1 Luglio di quest'anno, Reader cesserà di esistere, in quanto Google ha deciso di concentrarsi su pochi (!) altri progetti.

Alcune cose mi hanno colpito in questa vicenda.

La prima è l'enorme mole di utenti che ancora leggono notizie e aggiornamenti di blog con il sistema dei feed, nonostante i nuovi servizi e social media nati in questi ultimi anni. Nonostante alcuni considerassero i "feed" morti, e i blog con un piede nella fossa. Nonostante il browser Chrome abbia da sempre snobbato i feed. Ne è una dimostrazione, l'ondata di reazioni di stupore, molte delle quali risentite, e la petizione su Internet contro la chiusura di Reader, che in pochi giorni ha già superato le 100.000 firme.

La seconda cosa è che esistono decine di alternative a Google Reader, come descritto in questo articolo sul corriere.it o anche in quest'altro su wired.it. La sorpresa sta nel fatto che tutte queste alternative erano praticamente ignorate dalla stragrande maggioranza degli utenti, me compreso. Sono (siamo) così abituato a utilizzare gli innumerevoli servizi di Google, e a pensare che siano i migliori esistenti, che neanche mi pongo (ci poniamo) la domanda se esiste una alternativa, magari migliore. Questo è per me un fatto molto negativo, perché dimostra ancora una volta che si conosce e si usa solo il più diffuso, invece che il migliore.

Non tutto il male viene per nuocere: io ho scoperto NewsBlur  (grazie +Andrea Grandi) servizio gratuito (o a pagamento, 2 euro al mese per l'account "Premium"), basato su Software Libero, e che, volendo, chiunque può installare NewsBlur sul proprio server, e usarlo in alternativa a Reader.

La terza cosa è che usando software o servizi basati su software proprietari si mette la propria vita digitale nelle mani di chi può disporne come crede, anche decretandone la morte senza appello. Meglio quindi scegliere Software Libero, che permette sempre un'alternativa, una "exit strategy", anche se magari di non immediata soluzione.

Infine, il nostro destino web è per grande parte nelle poderose mani del Gigante "buono", Google. Questa è una della verità site nel lato incosciente del cervello, e lì resta fino a quando decisioni come quella su Reader fanno pensare "cavolo! adesso come faccio?!?". Io stesso ho messo nelle sue mani email, blog, documenti, foto, social network (e chissà cos'altro). Tutto nei server di Google (chissà dove nel Mondo).

Mi fa venire una certa apprensione l'essere coscienti che un domani tutto questo potrebbe non esserci più, oppure (orrore!) essere rinchiuso in un recinto di "account a pagamento" che limiterebbe la mia libertà nel disporre dei miei dati.

Il sottoscritto ha cominciato oggi un'opera di diversificazione della propria vita digitale, prendendo in considerazione alternative - possibilmente libere - a tutti i servizi Google. Temo infatti che il motto di BigG stia cambiando da "Don't be evil" (non fare il cattivo) in "Don't be SO evil" (non fare TROPPO il cattivo").

sabato 9 marzo 2013

Ubuntu sta lasciando indietro la Comunità Ubuntu?

 
 
C'è baruffa nell'aria (parecchia)

Questa è stata una settimana molto travagliata per Ubuntu. Tutto è cominciato con Martin "DoctorMo" Owens, contributore storico di Ubuntu, che con un post sul proprio blog ha annunciato l'intenzione di non rinnovare la propria membership su Ubuntu. Una decisione grave, le cui motivazioni possono essere riassunte nelle sue parole:
"But I have to be honest, there isn’t an Ubuntu community any more. There’s a Canonical community, an ubuntu-users gaggle and maybe an enthusiasts posse. But no community that makes decisions, builds a consensus, advocates or educates. It’s dead now, it’s been that way for a while."
"Se devo essere sincero, non esiste più una comunità Ubuntu. C'è una comunità Canonical, un branco di utenti e forse una gang di entusiasti. Ma nessuna comunità che assume decisioni, costruisce consenso, sostiene ed istruisce. Adesso è morta, c'è stata per un po' di tempo".
Parole pesantissime.

Al post di Martin, ne sono seguiti altri, leggendo il Planet Ubuntu li si può leggere in sequenza, che hanno ulteriormente alzato i toni dello scontro. É dovuto intervenire anche Jono Bacon, community manager di Ubuntu (e dipendente di Canonical), che ha scritto un post in cui ricorda quanto di buono fatto, e gli obiettivi per Ubuntu, che ha un'occasione unica per fare qualcosa di veramente importante nell'ambito del software open source.

Highway to hell

I fatti che hanno portato a questa situazione sono molteplici, gli ultimi che mi vengono in mente:
  • l'adozione di un modello "rolling release", al posto del ciclo di rilascio attuale, ogni 6 mesi
  • la decisione di svolgere le riunioni semestrali note come UDS (Ubuntu Developer Summit) online, invece che dal vivo, da qualche parte nel mondo
  • (infine, quello che ha fatto traboccare il vaso) la decisione di adottare Mir, un display server sviluppato in casa Canonical, invece del previsto Wayland
Negli ultimi anni, direi da Ubuntu 11.04 in poi, c'è stato un susseguirsi di annunci da Canonical che da una parte hanno proiettato Ubuntu davanti alle altre distribuzioni 1000 miglia, perché Ubuntu è davvero unica nella vivacità dell'innovazione e delle proposte.

Dall'altra parte, tutte queste novità, queste decisioni prese dietro porte chiuse (quelle di Canonical) hanno spiazzato la comunità - intesa come persone che contribuiscono volontariamente e gratuitamente - perché questa accelerazione l'ha tagliata fuori dal processo decisionale. Il progetto Ubuntu ha (avrebbe) uno sviluppo e una governance congiunta (Canonical + Comunità, con Mark Shuttleworth a far da dittarore benevolo). Lasciare fuori il 49% degli aventi diritto è grave. Qualcuno ha detto, riferendosi alle varie distribuzioni ufficiali, che ormai Ubuntu è la variante Canonical di Ubuntu.
 
Come secondo fattore, ma anche più importante, le decisioni prese da Canonical per Ubuntu si riflettono sulle derivate ufficiali (Kubuntu, Xubuntu e Lubuntu), che si trovano poi in difficoltà.

Per esempio: adottare Mir come display server, ha sicuramente impatto sullo sviluppo delle derivate, che si troveranno a dover interagire con un software nuovo, che dovranno integrare con i desktop environment utilizzati (KDE, XFCE, LXDE).

Ma anche come scrive Andrea Grandi sul suo blog: gli UDS online hanno vantaggi (maggiore interazione, maggiore partecipazione, economicità) e svantaggi (persone che non hanno accesso ai videoritrovi, mancanza della parte sociale dell'evento...), e probabilmente i secondi superano di gran lunga i primi.

Che ne sarà di noi?

Dal lato commerciale della vicenda le decisioni di Canonical sullo sviluppo di Ubuntu potrebbero essere corrette, solo il supremo giudizio Del Dio Mercato (divinità pagana a cui tutto si immola) potrà sentenziare.

Dal lato comunitario, spero che Elizabeth Krumbach, membro del Community Council di Ubuntu, e chi come lei, riescano nel proposito di ricucire i pezzi. Certo è che questa è la peggiore crisi mai vissuta da quando frequento la comunità di Ubuntu. Una crisi che è naturale quando un progetto cresce fino alle dimensioni assunte da Ubuntu.

Sono sicuro che Ubuntu uscirà da questa crisi, non sono in grado di dire come, e a che prezzo.


Dario Cavedon è un giovanotto di belle speranze, che ha passato i 40 ma non se li sente, è uno giovane dentro, anche se da fuori non si direbbe. Si dedica con passione alla diffusione del Software Libero, di Linux e di Ubuntu e di un sacco di altra roba, nel poco tempo che famiglia e lavoro gli concedono. Il resto lo potete leggere sulla breve biografia.

sabato 2 marzo 2013

Come gestire le community Google Plus: Comunità è molto più che "community"

Quando qualche tempo fa apparve la funzione "community" su Google Plus ci fu un spontaneo e vivace fiorire di centinaia di community, le più disparate.

Le "community" (comunità) di Google Plus, sono gruppi all'interno del social network di casa Google, che permettono alle persone di riunirsi attorno a uno o più temi specifici. La community è simile al "gruppo" di Facebook, e si può essere invitati da persone che già ne fanno parte, oppure richiederne l'ingresso.

Personalmente sono stato invitato a molte di queste, almeno una ventina, credo anche a causa della varietà delle persone che compongono le mie cerchie (varietà è ricchezza). Alla fine ho accettato l'invito "solo" a una decina di queste, quelle che per me, in questo momento, sono di maggiore interesse.


La Comunità nelle community


Di un paio di queste community sono anche amministratore: ubuntu-it e kubuntu-it, appendici sociali della comunità ubuntu-it, che non ha potuto fare a meno di avere una sua presenza su Google Plus.

Del resto ubuntu-it, dopo qualche perplessità iniziale, è presente anche con una sua pagina su Facebook e un suo account Twitter. Questo dà modo di conoscerla a chi frequenta abitualmente questi luoghi virtuali. Personalmente ho sempre visto i social network come dei moderni bar virtuali, in cui la gente guarda e commenta quel che succede, un po' come facevano (fanno) gli anziani, seduti al bar del paese. Ma stavo parlando d'altro.

Moderatori: "Da grandi poteri, ecc. ecc."

Quando creammo le due community di ubuntu-it, una delle prime esigenze che sentimmo fu quella di ordinare un po' gli interventi. Infatti sulle community si possono inserire post molto liberamente, senza alcuna moderazione preventiva. Questa scelta è per dar modo a ognuno di intervenire liberamente, senza sentirsi sottoposto a un giudizio. D'altro canto, il lavoro per i moderatori aumenta, che sono chiamati a controllare che i post inseriti siano pertinenti all'argomento della community, e i toni delle discussioni rimangano nei limiti della buona convivenza e del rispetto reciproco.

Il moderatore però non è un poliziotto della buon costume internettiana (netiquette, questa sconosciuta), e ha di meglio da fare che star lì a tenere a bada chi si accapiglia virtualmente. Il moderatore è una persona al servizio della comunità, e il suo ruolo richiede un impegno costante nel tempo, per essere veloce nel rispondere alle esigenze delle persone che popolano la community. Questo vuol dire:
  • leggere regolarmente tutti i nuovi post e i commenti
  • dare un primo aiuto a chi chiede consiglio
  • proporre argomenti di interesse comune
  • indirizzare le discussioni, riportandole a toni civili se serve
  • cancellare senza pietà lo spam e i post fuori tema
Le attività dei moderatori sono a volte parecchio onerose, specie per chi - come tutte le persone di ubuntu-it - lo fa solo nel (poco) tempo libero.

Le regole di casa

Essendo il tempo prezioso, per evitare di imbarcarsi in discussioni lunghe e sterili su questo o quel post, come moderatori abbiamo deciso di adottare un regolamento per le community. Il buon senso - almeno per la mia esperienza - è del tutto inutile, specie quando lo si richiede agli altri. Meglio quindi delle regole ben codificate, che i moderatori applicheranno (loro sì) con il buon senso del padre di famiglia.

Il nostro regolamento è largamente "ispirato" al regolamento del Forum di ubuntu-it, e sperimentato sul campo da migliaia di utenti, che abbiamo semplificato per rendere più adatto a un social network.

Poco dopo l'adozione del regolamento, i fatti ci diedero (indirettamente) ragione: in un altra community, sempre con argomento Linux, seguii una discussione in cui un ragazzino, agli inizi della sua avventura su Linux, si lamentava dei consigli (maliziosamente sbagliati) dati da un altro appartentente alla stessa, molto più esperto. Quei funesti consigli arrecarono più di qualche danno al poveretto, suscitando al contempo (oltre al danno, la beffa) parecchie risate da parte degli altri appartenenti alla community, con qualche bonario richiamo a... RTFM.

É ora di finirla con 'sto "RTFM"!

Oltre al fatto che la community manchi di un regolamento, e che nessuno dei moderatori si sia sentito di richiamare il comportamento di chi ha mal consigliato, la cosa che trovo assolutamente inaccettabile è richiamarsi al principio del RTFM (che vuol dire "read the fu...ng manual", cioè "leggi il fot..to manuale" prima di fare domande), tanto caro ai geek della vecchia scuola, ma che ormai dovrebbe essere sepolto in quanto decisamente scortese e sorpassato.

Per carità, documentarsi prima di fare qualcosa deve essere la prima regola per chi comincia a imparare uno qualsiasi argomento, ma prima di questa è la solidarietà e l'aiuto reciproco, regola fondamentale per tutti quelli che nutrono interessi comuni, specie nei confronti dei neofiti. Credo anzi che il RTFM abbia limitato lo sviluppo di Linux e del Software Libero, essendo di fatto una specie di bullismo nerd, che ha fatto scappare più di qualche persona.

Come dicevo, si tiene insieme una comunità non solo con gli interessi comuni, ma soprattutto con la solidarietà, l'aiuto e il rispetto reciproco. Questi sono i valori aggiunti dei gruppi, che altrimenti hanno la stessa coesione di una mandria di buoi rinchiusi in un recinto.

Riepilogando, le tre semplici regole della community sono:
  1. Le regole della community devono essere chiare ed esplicite, ben visibili e condivise, ma
  2. Solidarietà, rispetto e aiuto reciproco sono anche più importanti delle regole stesse, e infine
  3. I moderatori sono persone al servizio, non poliziotti della community, devono aiutare le persone e come tali si comportano.
Buon divertimento!  

Dario Cavedon è un giovanotto di belle speranze, che ha passato i 40 ma non se li sente, è uno giovane dentro, anche se da fuori non si direbbe. Si dedica con passione alla diffusione del Software Libero, di Linux e di Ubuntu e di un sacco di altra roba, nel poco tempo che famiglia e lavoro gli concedono. Il resto lo potete leggere sulla breve biografia.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...